La buona realizzazione della prospettiva inclusiva – cioè dell’inserimento che diventa integrazione per avviare l’inclusione – non dipende esclusivamente dagli insegnanti specializzati per il sostegno all’inclusione. È un processo istituzionale e globale, composto quindi da una parte già istituita che permette di sviluppare un progetto, ovvero una parte istituente.

Sulla copertina allo scritto/strumento di Giancarlo Cottoni (2003), dedicato al Profilo Dinamico Funzionale, attorno al titolo dedicato al tema, vi è una corona circolare in cui sono inscritte quattro frasi: “Se è finto è inutile/se è completo è molto utile ma faticoso/ se è solo dinamico è quasi sufficiente/ se è solo funzionale è poco utile”. Mi sembra un buon esercizio ricavare indicatori di qualità da queste frasi.

Ce lo indicava il genius loci di Parma: Giancarlo Cottoni. Lo conobbi quando era direttore didattico a Fontanellato, e aveva organizzato uno stage di formazione animato da Franco Passatore, l’autore de Io ero l’albero e tu il cavallo. Giancarlo Cottoni aveva chiaro in testa che per realizzare l’accoglienza piena di tutte e tutti, anche con disabilità, bisognava allargare l’orizzonte. Quindi: un teatrante come Franco Passatore era il benvenuto. Grande apertura.

Proprio per questo, Giancarlo Cottoni era molto rigoroso. C’era chi se ne stupiva. Lui sapeva che vi era il rischio che l’accoglienza fosse interpretata come abbassamento della qualità che è propria della scuola. Non doveva essere così. Grande apertura e grande rigore. Applicato al Profilo Dinamico Funzionale, strumento che lo impegnò con tanta passione quanto amore del dettaglio. In un periodo in cui si correva il rischio di fare della socializzazione un paravento per nascondere l’eventuale pressapochismo, Giancarlo Cottoni si mostrava intransigente. Questo non gli impediva di aprirsi alle diverse culture, con una libertà che voleva anch’essa disciplinata. Sapeva che lo sviluppo di una passione, e la scuola di e per tutti era una passione, deve essere disciplinata per non degenerare e, per una dinamica paradossale, favorire restaurazioni autoritarie.

La prospettiva inclusiva aveva ed ha bisogno di un percorso unitario. Facciamo riferimento al grande documento che viene ricordato come “Il documento di Salamanca” perché è a Salamanca che si realizzò un momento importante, con la guida dell’UNESCO. Per molti paesi del mondo vi fu il punto di convergenza in una dichiarazione di base per l’educazione a prospettiva inclusiva. Veniva dichiarata con molta precisione, senza ambiguità, l’importanza di progetti unitari all’interno dei quali l’individualizzazione del percorso era la garanzia che si tenesse conto delle differenze individuali, tra le quali, non unica, vi è la differenza dovuta alle diverse abilità o disabilità. Il rischio che corriamo è quello di avviare un indotto – come si direbbe negli ambienti industriali; ma la parola ha anche una valenza culturale – quale quello del passaggio al percorso individuale.

Da dove derivava e deriva questo rischio? Da una serie di proposte continuamente affacciate e  rientrate, sommesse e dichiarate con enfasi, e tutte in questa direzione. Non sono quindi solo dei rari indizi: sono dei contributi costanti in una certa prospettiva. È raro trovare indicazioni che permettano di capire quanto è tenuto in conto il gruppo eterogeneo dei bambini; dentro questa eterogeneità collochiamo bambini e bambine che hanno delle ragioni e delle necessità particolari, e che chiamiamo disabili.

L’accelerazione punta sulla possibilità che vi siano il più presto possibile accostamenti a capacità individuali molto precise, nei confronti delle quali non abbiamo alcuna pregiudiziale se non quella, fondamentale, che vengano proposte in funzione di un potenziamento individuale. Ricordate le famose tre I di Informatica, Inglese, Imprenditorialità. Sono tre I da coniugare con un gruppo e non da accostare individualmente a ciascuno. Si pensi al termine Imprenditorialità: quanto sarebbe interessante mantenerlo in rapporto ad un gruppo e alle esigenze di questo gruppo, inclusivo di persone disabili. Significherebbe affrontare i temi e i problemi delle riduzioni degli handicap. Non è una proposta solo adulta. E’ anche una proposta bambina, che può benissimo affrontare le esigenze di gioco – Giancarlo Cottoni lo sapeva bene – e di spazio gioco per un gruppo che ha al suo interno – nel gruppo e non un’appendice -, un soggetto, bambino o bambina, che abbia – facciamo un esempio –dei problemi di mobilità. Come adattare gli spazi? Come organizzare i giochi? E’ entrando in questa prospettiva che quegli stessi bambini, quelle stesse bambine, dieci anni dopo, potranno individuare delle competenze per la loro professionalità futura con delle funzioni sociali che tengano conto di quelle che vengono chiamate le buone prassi, ossia una buona organizzazione, che esige delle buone competenze, per tutti e non solo per delle persone ideali.

Per tutto questo, e molto altro, Giancarlo Cottoni non va dimenticato. Bisogna andare avanti rimanendo fedeli alla sua memoria.

Andrea Canevaro

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE.

Cottoni G. (2003), Il Profilo Dinamico Funzionale strumento di innovazione scolastica, Parma, Centro Provinciale di Documentazione per l’Integrazione scolastiva, lavorativa, sociale.

Appadurai A. (2014), Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale, Milano, Raffaello Cortina editore.

Sen A. (2000), Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Milano, Oscar Mondadori.

O.M.S., (“002; 2001) ICF. Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, Trento, Erickson.