L’handicap

Dopo tanti anni di ricerca e di azione anche appassionata per la diffusione della cultura dell’integrazione, appare tristemente necessario riformulare il concetto di handicap.

Infatti il cattivo uso  di questa parola ha prodotto finora troppi inconvenienti, il più grave dei quali è la cancellazione del suo vero significato nei discorsi che, pur in buona fede, mettiamo alla base degli interventi programmati, che risultano alla fine distorti e assai meno efficaci.

L’handicap non è il deficit ( intellettuale, sensoriale,  fisico, ecc.).

Facciamo dunque una affermazione distorta e falsa, quando diciamo che il portatore di deficit è portatore di handicap.

Infatti l’handicap esiste solo nei rapporti interpersonali e non nelle persone.

Non è detto che il portatore di deficit,  per quanto questo sia grave,  sia sempre in situazione di handicap;  mentre la persona  che ci sembra priva di deficit può trovarvisi.

Non dimentichiamo che carenze delle funzioni e delle capacità di relazione sono riscontrabili,  in gradi e tipologie diversi,  nella totalità delle persone.

L’handicap è la fatica superiore a  quella legata all’impiego  equilibrato e fiducioso delle capacità;  ma è sempre una  fatica  che non esce dai  limiti delle estreme possibilità di prestazione.

L’handicap sorge se non è equilibrato il rapporto fra richiesta di prestazione, da una parte, e capacità di rispondervi, dall’altra.

Chi fa una richiesta di prestazione (imprenditore, amministratore, docente, guida, capo, ecc.) deve commisurarla alle capacità dell’esecutore, sostenendo la sua risposta quando essa impegna  il livello estremo delle sue capacità.

Una società poco attenta e poco preparata (si può arrivare sino alla disattenzione e all’ignoranza) è portatrice di handicap nei rapporti civili con le sue attese e le sue richieste di prestazioni, che, pur essendo possibili,  si possono eseguire solo con capacità che superano quelle impiegate dai cittadini serenamente e con la fiducia di riuscire.

Nella scuola operatori poco attenti e poco preparati (purtroppo a volte fino alla disattenzione  e all’ignoranza) sono portatori di handicap, perchè creano situazioni di handicap con le loro attese e le loro richieste di prestazioni, che, pur essendo possibili, impegnano  le capacità degli allievi a livelli superiori a quelli della serenità e della fiducia nella riuscita.

Solo l’induzione misurata e sostenuta (con tutti i sostegni possibili) di un certo livello di handicap può stimolare nella comunità la crescita civile dei cittadini e nella scuola la formazione personale degli alunni.

Quando invece le attese e le richieste riguardano prestazioni, per le quali in chi deve rispondere non esistono le capacità, queste richieste creano delle situazioni di impossibilità.

Nella società le situazioni di impossibilità  disgregano altamente i rapporti civili (è per questo,  se vogliamo fare l’esempio più facile, che dobbiamo togliere tutte le barriere architettoniche).

Nella scuola le situazioni di impossibilità sono per gli alunni profondamente diseducative, diminuendo le motivazioni ad apprendere e facendo aumentare il desiderio dell’abbandono scolastico.

Giancarlo Cottoni
Parma, 18 dicembre 2000