Un passo avanti

Siamo partiti parlando dell’integrazione degli handicappati. Identificavamo gli handicappati con i minorati, ne facevamo una categoria (articolata in molte sottocategorie), li riconoscevamo come i diversi.

Loro sarebbero i diversi, noi saremmo gli uguali.

E’ questa divisione che ha diviso e contrapposto gli orientamenti culturali.

Abbiamo prodotto la cultura della coeducazione dei diversi e degli uguali; e abbiamo prodotto la cultura dell’educazione dei diversi separata dall’educazione degli uguali.

Questa contrapposizione, ora aperta, ora sotterranea e più pericolosa, impedisce un progresso pieno, condiviso e sostenuto da tutti della cultura dell’integrazione.

Occorre rivedere l’impostazione iniziale, riconoscendo che è limitata e distorta rispetto alla realtà osservata in modo profondo.

I diversi non sono più diversi dagli uguali di quanto gli uguali non siano diversi fra loro.

Occorre mettere in luce gli elementi che rendono uguali tutte le persone, sia che prima fossero state messe fra i diversi, sia che fossero state messe fra gli uguali.

Si tratta di smettere di parlare di handicappati e di non handicappati, per di più usando questi termini nella scorretta accezione di minorati e non minorati.

Come fatti personali esistono solo le carenze funzionali e le carenze delle capacità di relazione; entrambe sono presenti in misura diversa in tutte le persone.

E’ la differenza del livello di queste carenze che diversifica le situazioni personali. Ma tutti portiamo il carico più o meno pesante di carenze funzionali e di carenze delle capacità di relazione.

Siamo diversi non perché apparteniamo a categorie diverse, ma solo perché viviamo a livelli diversi delle stesse funzioni e delle stesse capacità di relazione, osservabili in tutti.

La soluzione del problema dell’integrazione diventa difficile se è una marcia dei diversi verso gli uguali, e persino se è una marcia degli uguali verso i diversi.

Il problema dell’integrazione si appiana concettualmente quando si riconosce che, per risolverlo, si tratta di far dialogare, in un clima di comprensione e di aiuto reciproco, carenze, diverse solo come livello, delle funzioni e delle capacità di relazione.

Si tratta di creare le condizioni perché diventino realizzabili, dopo averli conosciuti, i potenziali di sviluppo di tutti, di sviluppo funzionale per quanto possibile, e di sviluppo relazionale possibile per tutti: nella scuola sia degli allievi sia dei docenti; nel lavoro sia dei lavoratori sia dei datori di lavoro; nel tempo libero sia di chi fruisce delle attività sia di chi le dirige.

Giancarlo Cottoni